Scritti autobiografici

Giancarlo Veneri è nato a Verona dove vive tuttora. Opera nell’ambito delle Arti Figurative da più di quaranta anni e quindi, ovviamente, ha partecipato a numerose  esposizioni  e in molti hanno scritto del suo lavoro (non sempre bene). Altrettanto ovviamente, sue opere si trovano in numerose collezioni in Italia e allì’estero.

Nel febbraio del 2003 è stato sottoposto ad una importante operazione chirurgica e, in qualche modo, l’ha portata fuori.

Attualmente è sovrappeso di circa cinque chili.

Il nove aprile voterà per cambiare. Ovvio.

Sta lavorando ad un grande ritratto  della sua gatta “Patata”. La gatta era stata chiamata da Elisa Nalin “Topinambour”. Poi Elisa si è trasferita a Parigi e la gatta è diventata “di” Giancarlo che ha semplificato il nome in “Patata”. Ecc.

NOTE

Nella compilazione, con un certo anticipo, di un opuscolo o libretto (generalmente viene chiamato “catalogo”) e di un biglietto di invito per una mostra d’arte, mi sorgono alcune considerazioni.

 – LE FOTOGRAFIE

Ammesso, ma non è detto, che le foto raffigurino le opere poi veramente esposte, possono essere di due tipi. Fatte bene o fatte male. Ovvio. In entrambi i casi, tuttavia, risultano bugiarde. Fin da ragazzo osservavo la Storia dell’Arte attraverso i libri e le foto. In seguito tutte le volte che ho visto un’opera dal vivo, mai, dico mai, l’ho trovata come l’avevo immaginata dalla foto. A mio avviso, le foto, conviene smitizzarle e utilizzarle come semplice elenco o come curiosità. I fotografi non me ne vogliano. La loro vera attività è evidentemente un’altra.

– I TESTI

Se io affermo di essere un grande artista tutti si mettono a ridere. Se lo dice, poniamo, Umberto Eco non ride più nessuno. E’ ovvio che a chiunque fa piacere se un esperto d’arte, magari prestigioso (generalmente viene chiamato “critico”) si interessa e scrive del suo lavoro, tuttavia ritengo siano necessari affinità ed entusiasmo da entrambe le parti. In tutti gli altri casi è meglio lasciar perdere.

– LE NOTE SULL’ARTISTA

Queste (generalmente vengono chiamate “curriculum”) a mio giudizio, dovrebbero fornire notizie riguardanti l’artista in modo da essere di aiuto alla comprensione del suo lavoro. Non è così pressochè mai e lo sanno tutti. L’obiettivo è evidentemente altro. Siamo proprio sicuri che all’osservatore di fronte ad un’opera interessi sapere che l’autore, poniamo, in un certo anno abbia partecipato ad una certa mostra o che da giovane abbia studiato nella tal scuola? Nutro sinceri dubbi.

– LA GALLERIA

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– IL RINFRESCO

Questa deliziosa usanza (generalmente viene chiamata “buffet”) che consente di intrattenersi piacevolmente con i presenti gustando cibi e bevande evidenzia, ahimè, curiosi comportamenti. La frase che assai spesso si sente pronunciare tra un bicchiere e l’altro è : “La mostra verrò a vederla un altro giorno. Oggi c’è troppa gente e non si vede niente”. Delizioso e anche buffo visto che il giorno dopo non si vede un cane. Ad ogni modo è un pochino doveroso organizzarlo (il buffet, s’intende) per evitare un’altra frase ricorrente : “Ma come, non si beve niente?”

– LA TIPOGRAFIA

Il meglio, ovvio. Grafiche Aurora. In tutti gli altri casi, la meno cara.

Tutte queste inutili e strampalate note perdono di importanza in un caso che chiamerei : ”a bocce ferme”.

Cioè, voglio dire, “ad artista morto”. In questo caso il “libretto” è giusto che, anche etimologicamente, diventi “catalogo” e storicizzi il più adeguatamente possibile l’opera del defunto.

Non è ancora il mio caso.

Marzo 2006